martedì 30 giugno 2015

19 LUGLIO 1980: LA MORTE IN MONTAGNA DI PINO OGGIONI di Marco Bartesaghi

Il Corno Medale, con la traccia in rosso della via Taveggia




Sabato 19 luglio 1980: Pino Oggioni affronta in solitaria la via Taveggia del Corno Medale, parete del gruppo delle Grigne. La via che ha scelto non è facile, comprende diversi passaggi impegnativi. Un sacerdote dal basso segue con il cannocchiale la sua salita, fino a quando gli sembra che abbia superato le maggiori difficoltà. Ma è proprio a questo punto che Pino precipita e muore. È stato colpito da un sasso? ha avuto un malore? La causa dell’incidente è rimasta sconosciuta.L'allarme viene dato dalla sua ragazza la sera del sabato, il corpo viene ritrovato la mattina seguente. Al fratello Fabio, allora diciannovenne, spetta il gravoso compito del riconoscimento.




Pino aveva 23 anni: era nato il 17 maggio 1957 a Verderio Superiore, in cascina Alba, dove erano nati anche i suoi genitori: il papà Giovanni, per tanti anni titolare di un officina meccanica, ora gestita dal figlio Fabio, e la mamma Luigia Villa.
Frequenta le scuole a Verderio, fino alle superiori, quando sceglie l’istituto tecnico industriale Hensemberger di Monza. In seguito si iscrive all'Università.
Intelligente, consapevole delle sue capacità, Pino mette tutto il suo impegno nelle attività che man mano lo appassionano: lo sport, la politica, la montagna, ma sono solo tre esempi.








Pratica l’atletica leggera, in un primo tempo, secondo i ricordi del fratello, come saltatore in alto, in seguito come mezzofondista. Fa parte della squadra de’ “La Torre”, di Merate e poi della SNIA di Varedo. Notizie sulla sua attività agonistica si trovano in “Verderio Giovane”, giornalino locale degli anni settanta, edito dall’omonima associazione. Si viene così a sapere che al Campionato Regionale di corsa campestre, per atleti di età non superiore ai 15 anni, svoltosi a Malgrate il 4 aprile del 1971, Pino si classifica secondo
Durante le scuole superiori, l’impegno politico prende il sopravvento: partecipa molto attivamente al movimento degli studenti dell’ Hensemberger e ne diventa il leader. All’interno della scuola fa parte del CUB (Comitato Unitario di Base) di Avanguardia Operaia, organizzazione politica di estrema sinistra, nata a Milano nel 1968 e molto attiva per tutti gli anni settanta. Nel territorio di Monza, dove Avanguardia Operaia era ben radicata, Pino è uno degli esponenti più in vista.





In una lettera pubblicata sul “Giornale di Merate” nei giorni della sua morte, i “i compagni e gli amici di Verderio” (così è firmata), fra l’altro scrivono:
 

“Parole come impegno, responsabilità, dovere che tanti hanno cancellato dal vocabolario, Pino le ha invece sempre messe in pratica, perché riteneva che questa fosse l’unica via per chi, come lui, volesse veramente cambiare la realtà nel senso del progresso sociale. Mai può essere messa in dubbio la coerenza, la legittimità della sua scelta operaista, proletaria, fatta soprattutto in virtù di una grande sete di giustizia …”
 

A facilitarlo in questo suo ruolo politico, sembra sia stata la capacità, riconosciuta anche da chi non condivide le sue posizioni, di parlare e, soprattutto di farsi ascoltare.



Così lo ricorda Ferdinando Bosisio, sindaco democristiano di Verderio Superiore, dal 1995 al 1999:
“I ricordi che ho di Pino risalgono a quando eravamo bambini. I nostri genitori erano molto amici e abbiamo fatto insieme anche alcune vacanze al mare.
Poi, abbiamo continuato a frequentarci, fino al momento della sua morte.
Era una persona affascinante, con molti interessi per i quali sapeva spendersi fino in fondo, sia che si trattasse di attività sportive (l'atletica leggera, il motocross e, infine, l'alpinismo) che di politica, la vera grande passione, credo, della sua vita.
Ai tempi delle scuole superiori io ero in seminario a Torino, lui era iscritto all'Hensemberger di Monza. Ci si vedeva solo quando tornavo per le vacanze di Natale e Pasqua e poi per quelle estive. Allora militava in Avanguardia Operaia ed era su posizioni molto radicali di critica della società, della chiesa, della politica.
Quando sono uscito dal seminario e frequentavo l'Università, facevamo spesso il viaggio insieme da Milano e tornavamo  a piedi dalla stazione di Paderno d'Adda.
Mi sembra che in questo periodo, pur mantenendosi fedele a una visione marxista rivoluzionaria, avesse assunto un atteggiamento più razionale e “politico”. Infine, negli ultimi due anni, seppur sempre impegnato politicamente, lo ricordo molto attento alla natura, all'ambiente, alla montagna.
Con lui ricordo  lunghissime discussioni, in cui sapeva dimostrare tutta la sua intelligenza, di cui era molto consapevole, e la sua capacità di essere ironico e qualche volta anche sarcastico.
Era una persona affascinante e un leader naturale. Rispetto a noi giovani del paese era quello che per primo si era reso indipendente dalla famiglia ed aveva frequentato ambienti per noi lontanissimi.
Dopo la sua morte ricordo di aver provato un forte  senso di vuoto: mi sembrava impossibile arrivare in stazione senza vederlo apparire e potergli parlare” 


Sul finire degli anni settanta, senza per questo abbandonare la politica, si avvicina alla montagna, nell’ambito di una rinnovata attenzione verso la natura e l’ambiente.
 

È forse in questo periodo che scrive il brano che la famiglia distribuirà, insieme  ad una fotografia, ad amici e parenti:
 

“Quanta felicità ho vissuto, quante cose mi ha dato la mia breve vita, la natura che tanto ho amato e che tanto amo, l'immenso contatto che ho avuto con gli altri, con tutti coloro che ho conosciuto …
Molte cose ho imparato dal rapporto con le masse , moltissime altre le ho avute dal rapporto con alcune persone, con alcuni compagni ...”

 


Non affronta l’alpinismo da sprovveduto, non si tira indietro di fronte alle crescenti difficoltà e si pone obiettivi piuttosto ambiziosi. Qualcuno giudicò un azzardo l’aver scelto di salire, da solo, quella particolare via del Medale: forse, in parte, lo fu, ma una certa dose di azzardo è insita nell’alpinismo e quanta ce ne sia stata nella scelta di Pino è difficile giudicare.

I suoi funerali si svolsero nella chiesa di San Giuseppe e Floriano. Celebrò la funzione il parroco, don Giampiero Brazzelli, che, racconta Nando Bosisio, seppur da lontano, mai aveva cessato di interessarsi di lui e delle sue scelte. Il sacerdote, pur considerando negativo il “massimalismo” di Pino e non tacendo la lontananza delle  reciproche posizioni, lo descrisse come ragazzo buono e generoso.
 

La chiesa era gremita, ma molti attesero la bara sul sagrato. Al cimitero, dopo la sepoltura, i suoi “compagni” lo salutarono intonando l’ “Internazionale”.

Marco Bartesaghi

Per scrivere di Pino, che io non ho conosciuto, ho parlato con il fratello Fabio, con l'amico e confidente Flavio Crippa, insegnante all'Hensemberger, con Ferdinando Bosisio e Marina Ravot, una ragazza con la quale Pino aveva condiviso una parte della sua vita. Ho poi consultato i giornali locali pubblicati nei giorni della sua morte: il "Giornale di Lecco", dove nell'editoriale il direttore Marco Calvetti esprime perplessità sulla scelta di Pino di affrontare da solo quella via, il "Corriere di Lecco",  "Il Resegone", la "Provincia di Lecco", il "Giornale di Merate".
Ho ricavato l'impressione che sulla sua breve  vita ci sia molto da raccontare. Questo articolo perciò non può che essere considerato un primo ricordo, semplice e modesto, in occasione del trentacinquesimo anniversario della sua morte.















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