domenica 8 dicembre 2013

LES PETITES CHOSES DE LA VIE Storie d'amore, di geni e di mutanti. Di Giuseppe Gavazzi




Giuseppe Gavazzi, classe 1936, è stato professore di Genetica Agraria presso l'Università degli Studi di Milano.

Nel suo lavoro di ricerca si è concentrato in particolare sui diversi aspetti dello sviluppo della pianta del mais.
Residente a Verderio, quando può trascorre in paese i suoi fine settimana.

Dal libro autobiografico che ha scritto recentemente, "LES PETITES CHOSES DE LA VIE - Storie d'amore, di geni e di mutanti", traspare con forza la sua passione per la vita e per il lavoro di scienziato.


 Le parti del libro che riguardano Verderio si riferiscono soprattutto al periodo dell'infanzia, che coincide in parte con quello della seconda guerra mondiale. Il brano che, con il suo permesso vi propongo, è tratto dal capitolo "Il giardino incantato" (pagine 17 - 18 - 19).

LES PETITES CHOSES DE LA VIE - Storie d'amore, di geni e di mutanti di Giuseppe Gavazzi
IL GIARDINO INCANTATO

L'anno seguente ci trasferimmo a Verderio Superiore, a casa del nonno materno. Qui i ricordi si fanno meno frammentari, è stato uno dei periodi formativi della mia crescita. Anche la villa del nonno Alessandro era grande e abitata da tante persone. Oltre ai genitori e a noi tre figli - Alessandra, io e Alberto - c'erano il nonno e la nonna Anita, la figlia Vanna, sorella della mamma, e la bisnonna, che occupava un intero appartamento al primo piano. Un'ala della casa era riservata ai Facchini, amici friulani della zia Vanna, e due piccoli appartamenti rispettivamente alla famiglia dell'autista e a quello del custode, il cui figlio divenne mio inseparabile compagno di giochi per tutto il tempo che rimanemmo lì. A completare questa colorita compagnia un ufficiale tedesco molto gentile, che passava il tempo libero a suonare il violino.





Dietro la casa c'era un grande giardino,in cui passavo ore infinite. Nella mia fantasia rappresentava davvero il paradiso terrestre. Sul lato sinistro era delimitato da un boschetto di alti bambù, sui quali ci divertivamo ad arrampicarci a forza di braccia, mentre più oltre un muro lo divideva dal giardino della villa Gnecchi, nostri cugini. Al centro svettava un maestoso cedro del Libano, con accanto una grande fontana nella quale inevitabilmente entravo per osservare  da vicino il variopinto mondo di insetti che la popolava. Sulla destra, oltre un boschetto di ippocastani, la proprietà confinava con la cosiddetta Breda, un terreno agricolo coltivato di circa un ettaro, con serra ortaggi e un noccioleto. La fine di quel regno incantato era rappresentata da una ringhiera e da due alti alberi, da cui cadevano pigne profumate ricchissime di ottimi pinoli. Una stradina sterrata seguiva per intero il perimetro del parco, e per me era un vero spasso percorrerla in bicicletta, ingaggiando gare di velocità con me stesso a ogni giro. Ma la maggior parte del tempo la passavo a caccia di insetti che poi mi divertivo a disegnare, o a osservare il movimento dei ragni d'acqua e le voraci larve delle libellule nella fontana. Grazie a Strani insetti e le loro storie, il primo di una lunga serie di libri sulla natura regalatimi dal nonno e che leggevo avidamente, sapevo riconoscere insetti nuovi come l'idrofilo o rari esemplari dello stupendo Ditiscus marginalis. Ma ero ammirato anche da quelli più comuni, che viaggiavano veloci sull'acqua a pancia in su.








 


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