venerdì 12 luglio 2013

ANGELO ARLATI E IL POPOLO ROM: UN INCONTRO CHE DURA DA QUARANT'ANNI di Marco Bartesaghi



 


Angelo Arlati, classe 1948, è un pensionato, ex insegnante di materie letterarie alla scuola media; è nato a Bellusco, vive a Cornate d'Adda; è sposato e ha due figlie.
Quarant''anni fa, anno più anno meno, ha svolto la sua tesi di laurea su un argomento allora, e forse anche oggi, insolito: il romanés, la lingua dei rom o, se preferite, degli zingari.
Così ha avuto inizio, e da allora non si è più interrotto, il suo rapporto con questo popolo e la sua cultura.
 

 
Angelo Arlati, quarto da destra, tra i Lovara


Nel 2005 ha pubblicato un libretto sulla persecuzione nazista dei rom, intitolato "Porrajmós e samuradipen. L'olocausto del popolo zingaro"(1). Più recentemente su la "Rivista Anarchica" è apparso un suo ampio saggio intitolato "La lingua dei Rom"(2) Un altro articolo, "La più antica rappresentazione iconografica degli zingari", è stato invece pubblicato dalla rivista "Rom, Sinto" (3)
Parlare con lui di questo argomento è un'avventura: sai quando cominci ma riguardo alla fine ...
Per la  prima domanda, propedeutica, utile a chiarire l'uso di alcuni termini, abbiamo chiacchierato per più di mezz'ora: preparatevi, si parte.

 
Fotografia di Jurij Razza*


Marco (M) - Una premessa: zingari, nomadi, rom, sinti. Come usare questi termini? Tu ad esempio, se non vado errando, usi il la parola"zingaro" senza farti troppi problemi, ( mi riferisco all'articolo "La più antica rappresentazione iconografica degli zingari") mentre di solito si cerca di evitarlo in quanto sarebbe sgradito al popolo in questione.
Angelo (A) - È una domanda pertinente e di grande attualità. Io non mi faccio troppi problemi. Anzi, non è vero, anch'io me li faccio: non scrivo, a vanvera; non uso zingari, o rom così come mi capita.
Il criterio fondamentale è la chiarezza e il contesto del discorso.

M - Un esempio?
A - Ad esempio, nell'articolo a cui fai riferimento, visto che sono i "nostri" pittori che dipingono, non sono rom, essi offriranno un'immagine generica dello zingaro, non del rom o del sinto. Anche i titoli, originali o attribuiti, dei loro quadri - "La Zingarella" di Boccaccio Boccaccino; "La buona ventura della zingara" di Caravaggio e così via - non si possono cambiare. Se il nostro pittore lì guardava come zingari, io non posso inventarmi adesso che sono rom.

Quindi usare "zingari" fuori luogo è sbagliato; quando c'è la possibilità di usare la parola rom, ben venga. Ma perché sostituire necessariamente la parola "zingari"?

M - Forse perché è offensiva?
A - Certo, è ritenuta offensiva, specialmente dagli "zingari" stessi, ma non è assolutamente vero che sia offensiva. È un etnonimo, come le parole rom e sinto, cioè un nome che designa l'appartenenza a un popolo. Solo che rom e sinto sono nomi che la popolazione dà a se stessa; "zingaro" è un nome che viene applicato da altri. Se chiedi a uno zingaro: "tu chi sei?" lui risponde, giustamente: "io sono un rom" oppure: "io sono un sinto" e non: "sono uno zingaro": è corretto privilegiare nell'uso le prime due, ma non è necessario, ripeto, abbandonare del tutto l'altra, solo perché è un nome applicato da altri, un eteronimo. Apache, sioux, cheyenne, eccetera: sono nomi attribuiti alle tribù degli indiani d'America dagli inglesi o da altre tribù, sono eteronomi: nessuno grida allo scandalo quando vengono usati.

M - E quindi le tribù indiane avranno avuto, prima della "conquista", un loro nome?
A - Sì, un autonimo, un nome dato da sé stessi, che in genere corrisponde a "uomo", "vero uomo", "popolo": è un classico delle popolazioni di natura il definirsi "uomini". È così anche per quelli che "noi" chiamiamo eschimesi (cioè: mangiatori di carne cruda) che autonomamente si chiamano "inuit", che nella loro lingua vuol dire uomini. E lo stesso vale per la parola rom

M - Quindi la parola rom vuol dire uomo?
A - Rom è il nome di tutto il popolo, ma è anche il nome comune di ogni singolo uomo maschio. Anche "marito" è rom, mentre "moglie" è romni.
Ma rom è l'uomo zingaro. Tu ed io non siamo rom, siamo manush, un termine indiano che significa uomo. Loro distinguono l'uomo zingaro che è rom, dall' uomo comune che è manush. O anche gagio, un termine più spregiativo.

 
Fotografia di Jurij Razza



M - Manush è una parola indiana, e rom?
A - È difficile risalire al significato della parola rom, ci sono diverse teorie che io accetto in parte, poi personalmente ognuno ha il diritto di dire anche la propria, no? Praticamente è sicuro che rom derivi dalla parola indiana dom: che significa "uomini"(4)
In medio oriente ci sono popolazioni che si chiamano dom che vuol dire uomo: i dom della Siria, i dom della palestina .Sono di origine e anche di lingua zingaresca, quindi imparentati con i rom.
La lingua dei nostri zingari europei che si sono diretti in Grecia e nei paesi balcanici ha visto l'iniziale D di molte parole trasformarsi in R.
Frank Miklosich, uno dei più grandi glottologi e orientalisti, vissuto nell'Ottocento, ha studiato questo cambiamento fonetico che ha riguardato decine di parole indiane, non solo la parola  Rom. Ad esempio il cucchiaio in indiano è doi e gli zingari dicono roi.

M - L'origine indiana di queste parole testimonia dell'origine indiana del popolo degli zingari?
A - Su questo sarei prudente, metterei un po' di puntini sulle i. Piuttosto che di "origine indiana", per essere più scientifici, sarebbe meglio parlare di "provenienza ultima indiana". Un esempio, per chiarire: i rom romeni che arrivano in Italia da sette, otto, dieci anni, non sono di origine romena, sono di provenienza romena; i rom greci sono cittadini della Grecia, ma non di origine greca, ...

M -Quindi non è sicuro neanche che l'India sia il luogo d'origine ...
A - Io ci tengo a sottolineare questo tema: gli studi sono andati sempre più indietro nel tempo e nello spazio e alcune realtà sono ormai assodate: i rom sono giunti nei Balcani provenendo dall'area greco turca, avendo percorso il medio oriente e la Persia, perché nel Romanés, la loro lingua, ci sono molti prestiti e molti fenomeni fonetici e linguistici persiani, oltre naturalmente a uno zoccolo, una base che è indiana. Nel romanés tutti i termini che riguardano la famiglia sono ancora termini indiani. Quindi è chiaro che hanno un fondo indiano. Poi sull'origine ...

M - Come si deve usare invece la parola Sinto?
A - Sinto è una differenziazione che si è sviluppata nel tempo. Ma prima sono tutti rom: anche il sinto prima di tutto è rom.

M - Ah, questo non lo sapevo. L'insieme è Rom; Sinto è un sottoinsieme?
A - Sì alcuni rom sono solo rom.

M - Ma in che cosa si differenziano?
A - Dall'area geografica di insediamento. I rom -rom o Rom propriamente detti sono quelli che abitano nei paesi balcanici, in Romania, Bulgaria, Turchia, in Russia e nell'Italia meridionale

M - E i Sinti?
A - I Sinti sono quelli dell' Italia centro settentrionale, della Francia, della Repubblica Ceca, della Slovacchia, della Germania e su, su fino alla Svezia.

M - È tutto?
A - No, in Spagna ci sono i calè, o meglio i rom - calè, ossia i 'rom neri',  e in Inghilterra i romanicel, ossia i 'f'igli Rom'.

M - In nord Africa ci sono rom?
A -  Dalla Francia e dalla Spagna molti zingari sono emigrati nel nord Africa.
Direttamente invece sono i Dom, di cui abbiamo già parlato prima. Sono mussulmani, provengono dal Medio Oriente, e sono lì anche loro da mille anni. Al tempo della conquista araba, avendo un territorio unico, potevano girare come volevano, non c'erano le frontiere e quindi i Dom sono presenti su un territorio che si estende dall'Afganistan fino al Pakistan e all'Egitto.

 
Fotografia di Jurij Razza




M - Riassumendo ...
A - Riassumendo, dobbiamo dire che la cosa principale è che i termini vanno mantenuti tutti e usati nel contesto giusto. Essi ci aiutano a capire la storia di questo popolo, che nei secoli si è diversificata ed è diventata più complessa.
Ma ciò non toglie che sempre di un unico popolo si tratti. Se si vuole riorganizzare questo mondo, modernizzarlo, integrarlo, bisogna partire dal riconoscimento della sua globalità di popolo. Sono convinto che si danneggi la popolazione zingara continuando ad insistere sulle differenze. Bisogna unire. Bisogna far leva su forze centripete, non centrifughe. Io vado un po' controcorrente, ma perché mi sembra di avere le idee chiare.
La prima cosa che uno zingaro fa quando ne trova un altro è chiedergli da dove viene:
"Tu chi sei?"
"Un rom Romeno? E tu?"
" Anch'io, e sono un kalderash e sono stato anche in Russia, che è piena di kalderash"
"La tua famiglia allora lavorava il ferro"
" Io invece sono un sono lovari, i miei antenati allevavano i cavalli"
"Allora vieni dal'Ungheria"
Le famiglie dei questi nostri tre amici immaginari hanno una storia comune: tutte e tre sono state liberate dalla schiavitù in Romania. Una si è poi trasferita in Ungheria e l'altra in Russia. Lo so che conoscere queste cose è utilissimo, ma il rom è soprattutto un rom prima di essere qualcosa d'altro.

M - Perché la parola rom, anch'essa legata a un sottogruppo del popolo complessivo, è stata assunta come nome dell'intero popolo?
A - E' il nome che si sono dati dalla notte dei tempi. I rom sono la fetta più grossa, rappresentano i tre quarti della torta: due milioni e mezzo in Romania, un milione in Bulgaria; 700 mila in Ungheria ecc.
Io sono il primo a riconoscere che i Sinti hanno una grande importanza storica e culturale, ma numericamente se arrivano a 500 mila è tanto.

 
Fotografia di Jurij Razza



M - Un modo sicuro per essere impopolari in Italia, e probabilmente non solo in Italia, è quello di occuparsi degli zingari, di apparire come loro amico. Ti sarai certo chiesto perché: che risposta ti sei dato?
A - Non c'è categoria, non c'è individuo che non nutra una idiosincrasia, un' ostilità innata verso di loro È una cosa atavica che tutti, anch'io, abbiamo sperimentato fin da giovani.
Questo sentimento, assurdamente, si trasferisce anche su coloro che gli sono vicini: occuparsi di rom è letale, l'ho provato sulla mia pelle.
Anche tra amici, finché se ne parla così nessun problema, ma quando si comincia a dire "ma tu ti occupi di zingari?" allora gli atteggiamenti cambiano. E in famiglia lo stesso: "ma cun toeut quel che se poeu fâ, cu i anzian, i malà, i drugà, propri cun chi le gheret de metess?". Drogati, i carcerati: ci sono tante categorie bisognose che hanno un immagine in sé peggiore degli zingari, eppure solo questi suscitano questa automatica repulsione, che, come dicevi, si riflette anche su coloro che se ne occupano.
Ma che senso ha prendersela anche con questi ultimi? Che ci sia almeno una separazione!

M - Tu, comunque, hai deciso di occupartene e, se si può dire, di essere loro amico. Quando è successo e perché?
A - Ho deciso di occuparmene una quarantina d'anni fa; sono diventato amico di tanti con cui sono entrato in contatto e sono ammiratore della loro cultura. Di qualcuno posso dire di non essere amico, perché non hanno seguito le regole dell'amicizia, che, ovviamente, non è cieca. Però di tutto il popolo sì, sono un ammiratore.

M - Come è successo?
A - Non è stata un'iniziativa a carattere sociale o di volontariato: è stato un motivo culturale. Facevo l'università, ero all'ultimo anno e avevo scelto la tesi in letteratura latina, in cui mi ero specializzato, quando un compagno di studi un po' particolare, perché aveva una ventina d'anni più di me ed era alla terza laurea (la prima in ingegneria, era un dirigente della Dalmine), mi ha fatto un ragionamento:
"Come può uno studioso come te di 21, 22 anni, fare una tesi su Plauto o Cicerone? Non può far altro che scopiazzare di qua e di là!"
Lui, siamo nel 1971, stava facendo una tesi sociologica intitolata: "La percezione che gli italiani hanno degli zingari", basata su un questionario a livello nazionale, con domande tipo "Da dove arrivano? Di che religione sono? Fanno riti tribali? Fanno magie? Ecc.."
M - E così ti ha proposto di fare una tesi sulla cultura degli zingari?
A -  Sì. Sapeva che nei miei studi mi ero dedicato anche al sanscrito  e quindi ...

M - Ti ha convinto ...
A -  Esatto. Non c'era niente in Italia a quel tempo sull'argomento. Mi sono detto: "Beh, male che vada passa, perché qualsiasi cazzata scrivo ... "  tanto è vero che il professor Bolognesi, emerito professore di glottologia che andava a convegni in Russia , in America, nel 72 quando mi sono laureato ha detto: "oh che bello, sa che mai avevo sentito ... è l'unico ... uno dei pochi"

M - Come andò a finire?
A - Quando l'ho sostenuta ho detto quattro cose (che adesso non sottoscriverei tutte), mi hanno detto bravo, bravo, bravo e mi hanno dato 109, perché avevo esami un po' bassi.

 
Fotografia di Jurij Razza




M - Esattamente qual era l'argomento della tesi?
A - Era sui dialetti zingari: avevo visto un po' di testi che già c'erano, alcuni vocabolari e fatto due indagini personali. Una a Cuneo, presso i Sinti, e l'altra a Milano, presso gli Harvati (5). Chiedendo: "Come dici padre? madre?" Ho composto un piccolo vocabolario, una mini grammatica.

Il mio primo maestro di lingua zingara è stato Giuseppe Levackovitc detto Tzigari o Zigari, rom harvato, dell'Istria, venuto in Italia dopo la seconda guerra, a Milano, in uno dei primi campi che il comune aveva messo a disposizione. Me lo aveva presentato il mio compagno di studi. Andavo da lui all'osteria o nella sua roulotte e gli chiedevo come si dice questo e quest'altro. Poi confrontavo le sue risposte con quelle che ottenevo in Piemonte. Con questo lavoro piano, piano sono entrato nella loro mentalità, nella loro cultura.

M - Siete diventati amici?
A - Andavo nel loro carrozzone a mangiare, a bere, a bere il caffè eccetera.  Nel 1977 Tzigari è stato invitato al mio matrimonio. Gli altri invitati si chiedevano: "Chi l'è? L' è 'n zingher?". E già, c'era uno zingaro tra gli invitati e tutti citu musca. Cosa vuoi dire allo sposo? Anzi qualche parente, alla fine, gli ha dovuto dare un  passaggio: sono belle rivincite, no?

M - Era una persona anziana?
A - Già allora aveva sui 70 anni. Quando è morto ne aveva circa 90.

M - Tutto questo succedeva 40 anni fa?
A - Sì, dal '72,  ho quarant'anni di servizio in questo campo e da allora, con alti e bassi me ne sono sempre occupato, privilegiando l'aspetto della conoscenza. È ovvio, che avendo a che fare con i rom non puoi dissociare del tutto l'aspetto culturale dall'aspetto utilitaristico perché volente o nolente chi avvicina gli zingari deve mettere nel conto di essere usato.

M - Usato in che termini?
A - Per i loro bisogni materiali, il riso, la pasta, i documenti, la burocrazia. Ma anche per i soldi: se ne hanno bisogno perché che ne so, gli tagliano la luce, te li chiedono.: Insomma, bisogna mettere in conto, che c'è anche questo aspetto.
A volte non è una richiesta diretta di denaro. Ti propongono una vendita. Uno dei primi anni, mi ricordo, sono arrivato a casa con una batteria  di pentole.

Comunque l'aspetto assistenzialistico non deve assolutamente prevalere. Lo dico, se può servire a qualcosa, con la mia esperienza di quarant'anni di frequentazione. Non deve prevalere perché c'è già. Vai a offrire i tuoi servizi a chi ti succhia il sangue?

"Li conosco, vado e li aiuto" oppure; "Io sono qua, se hai bisogno...": sono due atteggiamenti letali, da evitare soprattutto per un concetto di dignità e di rispetto.

Ti racconto un episodio.
Un tizio, gagio, grande esperto, amante dei nomadi, visita una famiglia di rom Harvati. Entra in casa: " oh buongiorno ciao, ciao, ciao: che bello, finalmente trovo dei rom puliti". "Perché i rom devono essere sporchi? Tu allora ti aspetti che i rom siano sporchi, che siano ladri dicendo così".

Non bisogna assolutamente accostarsi agli zingari con l'atteggiamento di beneficenza, di volontariato e così via.

M - Sei critico anche nei confronti delle associazioni che si occupano di zingari?
A - Critico? Lo posso dire e sfido chiunque venga in un dibattito pubblico a negarlo: la prima cosa per far andare bene il popolo rom in Italia è chiudere, sopprimere tutte le strutture che si occupano di loro, che sono una quarantina in Italia ...dei mangia, mangia... Prima cosa. Non si risolvono i problemi se prima non si sopprimono tutte queste sanguisughe, queste associazioni parassitarie che vivono sugli zingari, definiti parassiti. Bello! Sugli zingari, definiti parassiti, ci vivono i parassiti.

Tutte associazioni che fanno progetti di avviamento al lavoro, utilizzando fondi europei e italiani, che poi finiscono in niente. Un sacco di soldi. Si fa il corso di cucito per le donne, che sono pagate per partecipare. Finito il corso, finito tutto. Si fa il corso per incrementare il ballo e la musica degli zingari; partecipano in sette o otto, finito il corso se non vengono chiamati a suonare ..... Si fa un corso per l'avviamento di cooperative di zingari per il verde: finito il corso la serra è andata in malora, troppa fatica e poi chi va a vendere? Ce ne sarebbero di cose da dire, ma è meglio lasciar perdere.

 
Fotografia di Jurij Razza


M - C'è qualcuno che si salva, o no?
A - L'unica che capisco è l'associazione NAGA, un'associazione di medici ( naga è il nome di un serpente indiano). Sono medici volontari che, con un ambulanza, girano nei campi. E' una realtà solo italiana, perché all'estero i rom hanno case, hanno l'assistenza medica eccetera. In Italia vanno, vengono sono qui sono là. L'intervento del Naga è importante soprattutto a livello infantile, più che per l'adulto che, bene o male, s'arrangia. Anche perché gli zingari non si curano. Hanno male agli occhi? Ai denti? Allo stomaco? Passerà! Ma è un dovere seguire le donne, i bambini, fare le vaccinazioni, le visite  e siccome non li raggiungiamo tutti perché non tutti si rivolgono alla struttura sanitaria ben venga questa istituzione, che da almeno 30 anni gira nei campi con i furgoni e i medici volontari. Questa non è più beneficenza, è un servizio sociosanitario.

M - E l'Opera Nomadi?
A - Opera Nomadi è stata fondata nel 1965 da don Bruno Nicolini, santo prete e brava persona, morto qualche mese fa, e da Mirella Karpati, studiosa di pedagogia di Padova.
Questa associazione, agli inizi, ha fatto un ottimo lavoro perché ha risvegliato l'attenzione verso gli zingari e ha fondato una rivista Lacio Drom, che vuol dire "buon viaggio". Soprattutto, però, ha firmato due convenzioni con il Ministero della Pubblica Istruzione per inserire i bambini a scuola. Con la prima, verso la fine degli anni sessanta, furono create: delle classi speciali. Praticamente vicino a quelle ordinarie c'erano classi composte solo da zingari, da 5 a 10 alunni: purtroppo allora non si sapeva fare di meglio. C'era una graduatoria speciale per insegnanti delle classi Lacio Drom. Chi voleva si iscriveva a questa e, in base ai requisiti, veniva chiamato per  insegnare nelle classi di zingari. L'altra convenzione, firmata nel 1982, superava le classi speciali e prevedeva l'inserimento degli alunni rom nelle classi ordinarie.

Anche a Milano l'Opera ha fatto tantissimo: sulla scuola, sul trasporto; sui campi, ha insistito col comune per portare almeno acqua, luce gas. Il mio amico Zigari è stato un beneficiato dell'ON, perché ha avuto un suo appezzamento, ha mandato i nipoti a scuola. Il lavoro pionieristico è stato importante, poi ...

M - Poi?
A - Poi il tempo è passato e ora credo che gli zingari non siano più un popolo da assistere, ma che anche loro debbano essere oggetto della legislazione generale, come tutti. Se c'è da andare a scuola vanno a scuola, io sono ferreo su queste cose: se tu vivi qui e non mandi i bambini a scuola ti denuncio e te li tolgo, come succede a tutte le famiglie che non mandano i bambini a scuola. Non paghi la luce? Eh caro mio io, te la taglio: "Ma io non ho i soldi" .Va lavora o vai ai servizi sociali, vai in comune. Lo zingaro va trattato innanzitutto  come essere umano come tutti, salvo l'applicazione di tutte quelle norme e di tutti quei benefici che situazioni di disagio ammettono  Invece di dare i soldi a te che sei dell'associazione io uso i soldi per gli zingari direttamente e favorire l'autopromozione.

M - E' l'intermediazione che non approvi?
A - Ecco sì, l'intermediazione: non c'è bisogno di intermediazione, se hanno bisogno di qualcosa si rivolgano a chi di dovere, come gli altri cittadini. E' chiaro che, dato l'alto livello di analfabetismo e di scarsa conoscenza burocratica, vanno aiutati, ma solo, diciamo così, come tutoraggio.

Ma, a parte l'Opera Nomadi che comunque la sua parte l'ha fatta e l'ha fatta bene, poi sono arrivati gli altri, i furboni. Si mettono insieme in cinque, nominano un presidente, scelgono un nome - "drom (strada) qualcosa" - ed ecco l'associazione. Ne esistono una quarantina e più in Italia.

M - Che vantaggi hanno?
A - Di avere i contributi. Adesso magari no, ma un tempo, quando i comuni erano di manica larga, le associazioni presentavano progetti e prendevano un contributo.
Poi lo so anch'io che ci sono problemi che il singolo non può risolvere da solo ma deve agire in forma associata, come ad esempio per modificare o aggiornare la legislazione.
Oggi ad esempio c'è il grosso problema dei rom apolidi, provocato dalle guerre dell'ex Jugoslavia: sono ragazzi di dieci, anche vent'anni, figli, nati in Italia, di famiglie fuggite dalla guerra. Non hanno documenti e non sono registrati né da una parte né dall'altra. Un problema.

M - Qual è stata la scoperta più inaspettata che hai fatto frequentando questo mondo ?
A - L'umanità Tutto quello che si diceva di loro non era vero. La mia grande scoperta, fondamentale, è che è gente semplice, naturale senza secondi fini (a parte quelli che vogliono fregarti, ma quella è un'altra cosa), gente che ti parla davanti.
Io quando vedo in tv quelli che partecipano ai giochi, sono subito sospettoso: sono spiritosi, ma solo per farsi vedere. Per esempio con Jerry Scotti, una sera c'era una copia per cui ho provato istintivamente simpatia: lui un bel ragazzo, avrà avuto 30 anni, fine; lei una bella ragazza, alta: erano giostrai. Erano semplici, naturali. Guarda, senza saperlo.

M - Ma i giostrai sono tutti zingari ?
A - I veri giostrai, antichi, sì. Anche le famiglie dei circhi:Moira Orfei, ad esempio, ha sempre dichiarato le sue origini zingare, anche i Zavatta, i Buglione. Altri invece non lo dicono.
Oggi ci sono anche giostrai non zingari: questi li accusano di avergli rubato la piazza, li chiamano "i dritti". Se chiedi a un giostraio: "sei un dritto?", quello si offende: perché se è uno zingaro dice "quelli lì? ammazzali tutti!" Se invece è un dritto ti dice: "Sì perché, cosa vuoi? Te sei uno zingaro?"
In Umbria ho conosciuto zingari che hanno smesso di lavorare con la giostra perché non ce la facevano più e sono diventati rottamatori, raccolgono il ferro. Tanti adesso lo fanno

 
Fotografia di Jurij Razza



M - Parlami del tuo rapporto con loro
A - Ho un buon rapporto perché è un rapporto di parità Anche quelli che vedo raramente, quando li vedo mi guardano con occhio benevolo, con occhio giusto: non il gagio che gli serve, il gagio dilo, che vuol dire il gagio stupido, che li insegue e che crede di sapere tutto e invece si fa sfruttare. Io sicuramente sono un gagio, non un rom e già questo crea una barriera: non sei un rom e quindi sei già diverso, automaticamente inferiore. Ma poi sei il più privilegiato dei gage perché li tratti da pari a pari: "Avete bisogno? io sono qua, ma non credete che sia lo straccio eh". Allora ti rispettano.
Ho aiutato uno che era in carcere mandandogli lettere. Adesso, dopo sette anni, è uscito e mi ringrazia e mi dice che senza le mie lettere sarebbe stata molto più dura. Gli scrivevo e gli chiedevo di rispondermi in romanés, per farmi imparare. Gli ho mandato il libro sull'olocausto del suo popolo, lui lo ha fatto vedere al direttore del carcere. Per lui sono diventato un "phral", un fratello, mai come un vero zingaro ma comunque un fratello
Lui è uno molto ricco e intelligentissimo, un big nella sua comunità. Nei matrimoni e nelle feste quando arriva tutti si alzano in piedi, la banda si ferma e poi riparte in suo onore. Fra loro non esiste il capo che comanda, ma il capo di prestigio sì.
Una volta ho partecipato a una "pomana", cioè a un banchetto funebre. Quando lui è arrivato, io ero già seduto, è venuto a stringermi la mano. Sai cosa vuol dire per gli altri? "Ti ho visto con ..." e per loro sei qualcuno.

M - Due mondi, il "nostro" e il "loro" che non si piacciono, che non riescono a parlarsi: cosa sbagliamo "noi"? Cosa sbagliano "loro"?
A - Sono due mondi diversi. Non è questione di chi ha torto e di chi ha ragione o di chi sbaglia. Sono due mondi fatti così. Il "nostro" è quello maggioritario e vuole che lo si accetti così com'è .

M - Chi non si adegua è fuori?
A - Esatto e loro sono un altro mondo, che non si è adeguato. Tutti ammirano la tenacia con cui ha saputo rimanere se stesso, nonostante le persecuzioni, il nazismo, il pericolo di distruzione e nonostante le nostre lusinghe, perché la casa, il lavoro, la tranquillità sono delle lusinghe che possono essere anche alla loro portata. Tutto questo lo hanno rifiutato perché i benefici economici e della nostra civiltà sono visti in un'altra ottica. Per noi è una conquista avere una casa, un lavoro, un conto in banca ecc. Per loro sono cose che  oggi ci sono e domani no. Con queste premesse non lo so come si possa fare ad integrarli

M - Ma l'integrazione è comunque un obiettivo?
A - Sì, non si può rinunciare a priori a questo obiettivo, ma con la consapevolezza che i due mondi viaggiano in modo parallelo. Poi ogni tanto c'è qualcuno che passa di qua, però non è un interculturalità, un'emancipazione

M - E' una scelta individuale
A - Una scelta famigliare, individuale di tanti che rinunciano, si nascondono. Conosco tantissimi che non si ritengono più zingari. Dicono "I Zingher?" .So di tante famiglie. Ma chi vuole vivere ancora in questa tradizione, deve continuare con questa mentalità.  Chi non vuole, deve fare il passo e venire di qua, non si può vivere in due mondi.
La loro è una società sovra famigliare, una società di clan la quale vive non parallelamente ma dentro la nostra società. Gli Yankee e gli Indiani d'America sono società diverse, che vivono parallelamente : Gli indiani hanno difeso il loro territorio, gli altri glielo hanno preso e li hanno messi in riserve punto e basta.
No gli zingari partono già dicendo "io sono diverso, ma sono dentro di te". E come fai a liberarti di uno che è dentro di te? "O diventi come me o stai fuori di me". E se stai dentro accetti l'emancipazione, che significa che ti vengono riconosciuti tutti i diritti previsti dalla Costituzione, dalle leggi e dalle normative. Ovviamente però ti toccano anche tutti i doveri connessi. La legge dice che i bambini devono andare a scuola? Tu li devi mandare a scuola . Pochissimi rom romeni, che sono la maggioranza, manda i bambini a scuola.

 
Fotografia di Jurij Razza



M - In Romania?
A - No, qui in Italia. In Romania, sia sotto Ceausescu che dopo, andavano a scuola. Infatti i genitori vengono che sanno leggere e scrivere. Ma, una volta qui, non mandano i figli, "Perché farli studiare? tanto guadagnano, chi se ne frega ..."

M - E quindi la legge deve intervenire
A - Certo, deve intervenire, in questo caso con decisione; in altri con discrezione. Bisogna stare attenti a non applicarla in modo ingiusto
Un esempio: se vediamo un bambino che corre scalzo nel campo, per noi, essendo scalzo, è anche  malnutrito e incustodito. Arrivano i Servizi Sociali e lo tolgono ai genitori. Un momento, non è lì che si vede l'affetto o l'attenzione dei genitori. Ci sono anche delle abitudini e delle tradizionali che non corrispondono alle nostre, dove basta soffiare addosso a un bambino per incappare in qualche violazione della di privacy, o in un atto di violenza. 
Sono altre le cose gravi a cui fare attenzione: la sudditanza della donna, la violenza nei suoi confronti,  l'ubriachezza, ...

M - Sugli zingari hai scritto diverse cose. Alcune le ho citate all'inizio di questa intervista e due brani sono pubblicati dopo. A parte l'interesse specifico per gli argomenti, una sera mi ha parlato dell'importanza che potrebbe rappresentare l'approccio culturale ai fini della convivenza con i rom: me ne puoi riparlare?
A - Sì, questo secondo me è un punto fondamentale. L'approccio  culturale può aiutarci ad abbattere il muro di incomunicabilità che ci separa
Questo tema si presenta sotto due aspetti.
Il primo è, diciamo così, quello "culturale intrinseco", cioè la conoscenza sic et simpliciter della  loro cultura, delle loro tradizioni, della loro lingua, della loro società, e anche della loro religione, se c'è.
Ma questo basta per avvicinarci? No.
Allora è necessario anche l'altro aspetto, quello di conoscere cosa loro ci hanno dato dal punto di vista culturale ed è indubbio che noi siamo debitori verso gli zingari per molte cose e che la nostra cultura è imbevuta della loro: nel divertimento (i lunapark), nello spettacolo (il circo), nella conoscenza dei cavalli, nel commercio ambulante. C'è chi dice che si debba a loro l'importazione delle armi da fuoco in occidente.
Cosa sarebbe l'arte se togliessimo agli artisti il personaggio dello zingaro o della zingara?. e Verdi cosa sarebbe senza il Trovatore, o la sua Traviata senza "il coro delle zingarelle"?. Anche Hugo a Cervantes resterebbero mutilati.
La maschera dello zingaro e della zingara è da sempre presente nei nostri carnevali, e in molte rappresentazioni della Passione di Cristo nel meridione d'Italia la zingara è il personaggio che predice il futuro.
L'eterno cammino degli zingari sarebbe dovuto a una maledizione ricevuta per non aver dato alloggio sotto le proprie tende alla Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto.
C'è tutto un mondo letterario artistico, musicale, di divertimento che fa riferimento agli zingari, un mondo sterminato, che, se si vuole si può ignorare, ma se lo conosciamo dobbiamo dire: ah, tanto di cappello. Allora io dico, guardiamo lo zingaro anche in questo modo. Non sempre è lo straccione, l'analfabeta.

M - Non guardiamo solo quello che chiede ma anche quello che ha dato ...
A - Quando mi chiamano a parlare, parlo soprattutto di quello che ci hanno dato, e non se rubano o se mangiano con le mani....banalità!

M - Quali sono i tratti culturali in comune di un popolo così variegato, che non ha un proprio stato, che vive disperso su tanti territori e aderisce a diverse fedi religiose? La lingua, ad esempio, è unica o ce ne sono tante?
A - Anche qui ci sono le solite e tante leggende metropolitane, se vogliamo dire le cose come stanno. Intanto non è vero che i rom non abbiano uno stato, a parte gli apolidi, gli altri hanno tutti una nazionalità: i sinti italiani e i rom abruzzesi sono di nazionalità italiana, i rom che emigrano in Italia dalla Romania, ad esempio, sono romeni ...

M - Però il "popolo dei rom" non ha un suo stato ...
A - Sì, non ha uno stato che lo rappresenti. I rom sono una minoranza dispersa, che assume la nazionalità dello stato dove vive. Ciò significa che geopoliticamente non sono un unico corpo. Per questo motivo è stata negata la loro cultura e non sono stati riconosciuti in Italia come minoranza linguistica..
Un'altra leggenda metropolitana è che sono così diversi fra loro che non comunicano. Una zingara mi disse che il popolo rom è come una mano che ha cinque dita, ma la mano è unica: anche il popolo dei rom è un unico popolo.
Piasere, un grande antropologo degli zingari, di loro ha detto che sono "Un mondo di mondi".
Le sfaccettature sono innegabili ma, come ho detto all'inizio, insistere a guardare il fatto che fra loro sono diversi non serve. Per esempio non c'è niente di più diverso del gitano spagnolo e del rom romeno, ma, alla fin fine, sono molto più simili fra loro che il rom rumeno con il suo vicino di casa.


 
Fotografia di Jurij Razza



M - E parlano la stessa lingua?
A  - Avevano un'unica lingua, adesso hanno tanti dialetti ma con un fondo comune che gli permette di capirsi. Se un gruppo di italiani si spostasse in un'altra parte del mondo manterrebbe un po' della lingua italiana - il nome della famiglia, di Dio, della religione - e per il resto imparerebbe la lingua del paese ospitante. Il "pezzo" di italiano rimasto servirebbe al gruppo per capirsi con il resto degli italiani nel mondo.

M - Possiamo paragonare la varietà della lingua fra i rom con la varietà dei nostri dialetti?
A - Sì, ma c'è una considerazione importante da fare, che riguarda i rapporti numerici. Mi spiego: ci sono, supponiamo 100 dialetti zingari, ma di questi 99 sono parlati da due persone; l'altro è parlato da 10 milioni di persone. Nella realtà il rapporto fra sinti e rom (quelli che all'inizio per non confonderci abbiamo definito rom -rom) è 1 a 100: gli zingari hanno 100 dialetti ma la stragrande maggioranza ne parla uno o due.

M - La caduta dei regimi comunisti e, in seguito, le guerre della ex Jugoslavia hanno mutato, mi sembra, le caratteristiche della presenza degli zingari in Italia. Puoi, a grandi linee, farci capire cos' è successo?
A - L'immigrazione di questi ultimi anni - e parlo di immigrazione, non di "invasione"come dicono molti - è la terza grande immigrazione del popolo rom.
Molto brevemente . La prima è stata quella del 1400, e ha interessato tutta l'Europa: a Bologna si segnalano i primi zingari nel 1422, in Germania nel 1414.
Prima di allora gli zingari non si sapeva neanche chi fossero. I luoghi di provenienza erano i paesi Balcanici, la Romania e la Turchia.
Il fenomeno crea i disagi per le popolazioni, nascono i primi pregiudizi, e cominciano a essere emanate le prime leggi di oppressione. Ognuno aveva i suoi nomadi e cercava di cacciarli: a picchiare duro era la Francia? gli zingari si spostavano in Germania. Questa cominciava a reprimere? Si spostavano in Italia, e così via. Tra il 1400 e il 1800 l'Europa ha visto sempre una migrazione degli zingari al suo interno.

M - Questa è la prima migrazione?
A - Sì. Verso la metà dell'ottocento, quando si era creato un certo equilibrio all'interno dei vari stati, avviene la seconda migrazione.

M - Si sa quale sia stato il fatto storico scatenante?
A - Sì. Intorno al 1856 avviene la liberazione degli schiavi in Romania, e in tutta quell' area geografica: Valacchia, Transilvania, Bessarabia, Moldavia.  Vale a dire il serbatoio dei rom, dove ne vivevano a centinaia di migliaia.
A Milano si hanno le prime avvisaglie di questo esodo negli anni sessanta: il giornale "La tribuna illustrata", mi sembra, nel 1868 pubblica  un bel articolo con una fotografia di un attendamento di nomadi a Milano, a Porta Ticinese: "Zingari a Milano".
Un accampamento con grandi tende,  carretti con cavalli. Erano zingari rumeni, transilvani alti con capelli lunghi e i costumi da zingari ungheresi: anelli, un cappellaccio e, soprattutto, un gilè con bottoni d'oro, tipo i giannizzeri, i cavalieri ungheresi.
Il cronista scriveva: "ah, questa razza così naturale, così fiera Begli esemplari  umani eccetera ... "
Comunque questi nuovi arrivi creano un squilibrio nell'assetto che ormai si era creato fra i vari stati con i rom presenti fin dalla prima immigrazione. Se con questi ultimi ormai si cercava di convivere, i nuovi venivano invece respinti ( o è meglio dire che si tentava inutilmente di respingerli).

M - Possiamo quindi datare la seconda immigrazioni verso la metà dell'ottocento
A - Sì, il suo inizio, perché proseguirà anche nei decenni successivi, con una forte accentuazione alla fine del secolo e allo scoppio della prima guerra mondiale.
Dobbiamo poi fare un salto fino agli anni sessanta, settanta del ventesimo secolo. Gli anni in cui nasce Opera Nomadi che riesce ottenere quelle cose di cui abbiamo parlato prima (scuola, campi eccetera)

M - Terza migrazione ...
A - Esatto, a questo punto arriva la terza migrazione che scombussola ancora una volta l'equilibrio in atto.
Siamo alla fine degli anni sessanta. I primi ad arrivare sono bosniaci musulmani

M - Perché alla fine degli anni sessanta?
A - Perché cominciava il progresso qui da noi e, di là i primi che hanno capito han mangiato la foglia e sono venuti in Italia: gli Alilovich e Metalovich.
Poi, con le guerre dei Balcani sono arrivati i kosovari e i macedoni e, dopo la caduta dei Ceausescu in Romania, sono apparsi i rom romeni.

M - Cosa ha significato tutto questo?
A - Che hanno squilibrato ancora una volta l'assetto che, bene o male, si stava creando. I numeri sono pochi però se negli anni sessanta si erano fatte politiche di integrazione scolastica, di campi nomadi ( "famigerati" fin che vuoi, ma quasi tutti i rom vivevano nei campi), di assistenza sanitaria, con i nuovi arrivi tutta la costruzione crolla. Cavolo, arrivano i bosniaci che gridano "Campo, campo, vogliamo campo! Lavoro vogliamo lavoro!" Finiti i bosniaci arrivano i kosovari , poi i romeni. E allora riunioni su riunioni, problemi su problemi. Capisci cosa è stato che ha fatto saltare le cervella agli amministratori? Che  non hanno tutta colpa; non è che gli amministratori siano stati così boia. Io ho seguito la situazione di Milano: sai quante riunioni? Quanto è stato fatto per il lavoro, per la scuola per i campi? Per portare l'acqua, la luce, fare i giardinetti, fare le pulizia, mettere su baracche?. Poi anche i "nostri" zingari aumentavano perché sono prolifici: facevi il campo per 100 persone e dopo diventano 250 e gli amministratori sono impazziti.
Questo è successo in questi anni.

M - Un'ultima domanda. A chi, come te in cerca di popolarità, volesse instaurare un contatto più diretto con gli zingari, cosa consiglieresti?
A - Nessuna velleità assistenziale, ma rapporto umano con l'intento di conoscere il loro modo di vita e la loro visione della vita. Gli zingari, i Rom non sono terra di missione.

* Le fotografie di Jurij Razza sono state scattate a Roma, al campo Casilino 700, nel 1999. Ringrazio Jurij per aver acconsentito alla pubblicazione. M. B.
 


NOTE
(1) Angelo Arlati, Porrajmós e samudaripen, Divoramento e Genocidio . L'olocausto del popolo zingaro, Comitato per il Sessantennale della liberazione dal nazifascismo, 2005, Cornate d'Adda
(2) Angelo Arlati, La lingua dei Rom, Rivista Anarchica, anno 42 n. 9, Dicembre2012/gennaio2013
(3) Angelo Arlati, La più antica rappresentazione iconografica degli zingari, Rom-Sinto, n.15, novembre 2012
(4) "Dom significa uomini e deriva dalla radice indoeuropea gdhom, da cui derivano il latino homo "uomo" e humus "terra", il greco ???? "terra", il sanscrito kshas "terra", l'irlandese duine "uomini", Angelo Arlati, la lingua dei rom, op. cit
(5) I rom Harvati sono giunti in Italia dalla Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale. Erano circa 7000 persone (http://it.wikipedia.org/wiki/Zingari)

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