mercoledì 14 marzo 2012

IL MESTIERE DI SINDACO: ARMANDO VILLA, SINDACO DI VERDERIO SUPERIORE DAL 1955 AL 1995 - prima parte - di Marco Bartesaghi

I "Muleta" e i "Geta". I primi, di cognome Villa, a Cascina Provvidenza (detta anche "di Muleta"); gli altri, Motta, a cascina San Carlo ( o "del cürà", o "di Geta"). Nei primi decenni del '900, due fratelli e una sorella dei "Muleta" sposano due sorelle e un fratello dei "Geta". Da uno di questi matrimoni, quello fra Angelo Villa e Francesca Motta, il 3 febbraio 1930 nasce Armando, che sarà ininterrottamente sindaco di Verderio Superiore dal 1955 al 1995: un pezzo di storia, senza dubbio alcuno.

Cascina Provvidenza o "del muleta", situata subito dopo il cimitero


Cascina San Carlo, in via San Carlo, trasversale di via Sernovella
 
Sono a casa sua per chiedergli della lunga esperienza di amministratore locale, ma la chiacchierata inizia, e si protrae per più di un ora, sulla famiglia, gli studi e il lavoro
Marco - Suo papà era dei "Muleta": questo soprannome fa riferimento al lavoro dell'arrotino?
Armando - No. Alla Cascina Provvidenza abitava uno zio di mio padre che di mestiere faceva il "mediatore"nella vendita del bestiame. Una volta il mediatore aveva l'abitudine di "brancare", cioè prendere, la mano del venditore e non mollarla, gridando intanto "mola! mola!", finché questi non acconsentiva a "transare" il prezzo. Da questo "mola! mola!" è venuto fuori "muleta" e quindi "casina del Muleta". Mio padre era rimasto privo dei genitori in giovane età ed era andato a vivere con questo zio: una volta c'erano le famiglie ampie e si usava così.

Angelo Villa e Francesca Motta, genitori di Armando Villa. Dietro la foto di Angelo una data: 24 maggio 1936
 
M - I suoi genitori avevano l'osteria dove adesso c'è il Bar Sport?
A - Anche questa è una storia da raccontare. Dallo zio mio papà aveva imparato l'arte del "mediatore", senza però mai farlo. Lui aveva iniziato a fare il commerciante di bestiame e, pur tornando in famiglia per dormire, era a pensione all' "Osteria della Brianza con Salsamentario" (cioè un'osteria con alimentari). Il proprietario aveva moglie e due figlie, ma solo lui praticamente seguiva il negozio: la moglie partecipava molto poco, per niente le due figlie, che preferivano andare a Milano a frequentare teatri eccetera, insomma si divertivano 'ste ragazze, non facendo comunque niente di male. A un certo punto il proprietario s'è stufato ed è subentrato mio padre, che intanto si era sposato e aveva avuto il primo figlio, mio fratello maggiore che adesso ha 96 anni. Dalla cascina sono venuti ad abitare sopra l'osteria.

M - Un fratello di 96 anni? Abita a Verderio?
A - No. Nel 1945 si è trasferito a Casate, dopo il matrimonio. Lui, Francesco, era il primo di cinque fratelli, fra cui una bambina morta in tenera età. Io sono l'ultimo. Ora siamo rimasti solo io e Francesco: Luigi, il secondo è morto di leucemia nel '62; Ambrogio è "rimasto" in Russia.

Tutti e tre nell'ultima parte della guerra erano soldati. Francesco, che alla visita di leva venne ritenuto inabile, fu richiamato più tardi e assegnato alle batterie contraeree nella caserma di Como. Tornerà a casa dopo l'armistizio.

Luigi, arruolato mi pare nel '41, era a Trieste come istruttore nel battaglione reclute. Era sergente perché quando l'hanno chiamato era già diplomato. Anche lui è tornato a casa nel '43, dopo l'armistizio.

Luigi Villa
Ambrogio è stato chiamato un anno dopo, nel '42, perché era ancora liceale. Ha fatto il periodo di addestramento a Varese e poi, in aprile, è partito per la Russia. L'ultima sua lettera è arrivata la vigilia di Natale: aveva ricevuto il pacco da casa ed era contento per le maglie di lana e per le immaginette della Madonna che la mamma gli aveva messo dentro su sua richiesta: le distribuiva alla popolazione russa, desiderosa di averle. Sperava di arretrare dalle prime linee per festeggiare il Natale.
Ambrogio Villa


M - L'ultima lettera?
A - Sì, l'ultima. Poi più niente. Qualche anno fa abbiamo saputo che è stato seppellito in una fossa comune, dopo essere stato fatto prigioniero ed aver soggiornato in un ospedale da campo russo. Queste sono le notizie che ci ha dato il ministero della difesa, l'ufficio che si occupa del recupero dei soldati morti e dispersi.
Cortile del collegio Alessandro Manzoni


M - Lei e i suoi due fratelli, Luigi e Ambrogio, avete frequentato le scuole superiori? Una cosa anomala per quel tempo a Verderio, no?
A - Sì, per Verderio Superiore sì. Loro hanno studiato a Merate, al collegio Manzoni. Lì hanno frequentato l' "Istituto", perché ancora non c'erano le scuole medie. Poi si sono trasferiti a Bergamo in un altro collegio privato, l'Istituto Mascheroni. Luigi, che faceva le magistrali è riuscito a finire; Ambrogio frequentava la terza liceo quando l'hanno arruolato e poi è finita lì.
Mi ricordo che a Merate erano "interni", non venivano a casa. Qualche domenica, io, il papà e la mamma, andavamo a trovarli con il cavallo e poi andavamo a fare una passeggiata a piedi sulle alture di Merate, dove c'erano le ville. Loro erano un bel po' più anziani di me: Luigi del '20, Ambrogio del'21.

Due fotografie di Armando Villa bambino. La seconda è stata scattata il giorno della prima Comunione


M - Come era vista in paese questa "anomalia"?
A - Questo distinguersi nettamente dagli altri è stato il motivo per cui la popolazione di Verderio ce l'aveva un po' con la mia famiglia. Allora, ad esempio, c'erano tre osterie: ul prestiné, ul furanèl e 'l muleta. I figli del prestinee e del furanel hanno continuato nella loro attività e non si sono staccati dal loro modo di vivere.  Invece mio fratello maggiore, Francesco, ha preso l'attività del padre e l'ha ampliata , nel senso che è diventato un commerciante abbastanza robusto di vitelli, di vacche; ha aperto stalle a Bernareggio e a Casate; trattava con i contadini, comprava e vendeva. Il mestiere che prima faceva anche mio padre che, una volta alla settimana o ogni quindici giorni, andava in Veneto a comprare il bestiame sui mercati, e poi lo rivendeva. Andava in treno, partiva il mercoledì o il giovedì e tornava il giorno dopo.
Negli anni trenta poi,  il papà aveva una macchina, una 501, che non sapeva guidare e perciò aveva un autista di Robbiate che lo accompagnava sui mercati. Poi ha imparato a guidare mio fratello e allora lo portava lui. Mi ricordo che qualche volta la domenica andavamo a Barzio, a Introbio, a Pasturo. Il papà doveva riscuotere da quelli a cui vendeva i vitelli. Per noi era un giornata di vacanza.
In seguito abbiamo avuto un furgone, un 1100 rosso, che durante la guerra, per non farlo requisire, era stato nascosto sotto il fieno in un cascinotto vicino al cimitero, dove adesso hanno costruito
Insomma tutte queste cose, - la macchina; il fatto che il papà fosse, come tutti, un contadino ma che avesse voluto cambiare, emergere; i figli a scuola - tutto questo ha fatto sì che la gente di allora ce l'avesse su un pochino. Però niente di grave, non è mai successo niente: era una comprensibile invidia.

M - Ma chi mandava avanti l'osteria? Sua mamma?
A - Mia mamma e una zia, sorella del papà, che non si è mai sposata ed è sempre vissuta con noi.
M - Lei non aiutava?
A - Sì, un pochino.
M - Fino a quando l'avete tenuta?
A - Fino al 1960.
M - Mi parli della sua esperienza scolastica
A - Ho iniziato ad andare a scuola un anno prima dell'età giusta, perché sono di febbraio e i miei non volevano che perdessi un anno. Alle elementari in classe con me c'era anche qualcuno del '26 e del '27.
M - La scuola era all'ultimo piano del comune?
A - No era a piano terra, in due grandi saloni e una classe era all'asilo. In alto c'era una famiglia della "curt di Benedit", messa lì dall'amministrazioni che ci ha preceduto dopo il crollo della corte; un'altra famiglia, i Pedrini, erano nella "maternità", la villetta davanti all'ex ambulatorio, ora sala Zamparelli. e un'altra ancora a piano terra del comune, nel locale che dietro il bancomat.

M - Dopo le elementari?
A - Ho fatto le scuole medie a Merate. Ci andavo con una piccola bicicletta dipinta di bianco, perché in tempo di guerra- per non farsi vedere durante il giorno dagli aerei che bombardavano, e di notte invece, al contrario, per far vedere che si era in giro - c'era l'obbligo di dipingere tutto di quel colore. Alle medie ero l'unico di Verderio.

M - E dopo?
A - Quando ho finito le medie, nel '44,  eravamo in guerra e il treno che andava a Bergamo veniva quando veniva. Ho perso un anno, fino all'ottobre/novembre del '45. Dopo le medie mi sembrava di non voler più studiare. Però a casa mi hanno messo "sotto la stanga", diciamo così, e allora ho capito che era meglio andare a scuola. Ho chiesto a mio fratello Luigi di iscrivermi dove era comodo studiare e lui ha detto : "ti iscrivo ai periti". C'era meccanico, elettricista, chimico e chimico tintore. Ho scelto chimico, ma la sezione era completa: se volevo c'era posto nel "chimico tintore". Mi sono iscritto lì: non sapevo neanche cosa volesse dire.

M - Un caso insomma
A - Sì, un caso. Il primo giorno sono andato fino a Bergamo in bicicletta, insieme all'Alberto Comi. Mio fratello mi ha accompagnato. Per fare meno strada, da Calusco a Ponte San Pietro abbiamo percorso un sentiero che costeggiava la ferrovia. Invece, nei giorni successivi, andavo in bicicletta fino a Ponte san Pietro; da qui partiva il tram che portava in centro a Bergamo e da lì, a piedi per un paio di chilometri arrivavo all'Esperia. Alla sera, le lezioni  finivano alle 18, ritorno: piedi, tram e bicicletta.
Una mattina è venuta mia mamma a chiamarmi e le ho detto: "mama, a vo pü a scöla" e lei "sta lé". Poi però è andata da mio padre e gli ha detto: "Chel bagaj là dis chel vör anda pu a scöla" e lui: "se l'à di chel là? Digh che l'à cumincià, el g'à de finì". Sono saltato fuori dal letto e sono andato fino alla fine: cinque anni.

Armando Villa, a sinistra , con due amici. Aprile 1945
 
M - E come se la cavava?
A - Abbastanza bene però in terza io e i miei compagni l'abbiamo combinata grossa. Per il laboratorio di chimica ci davano in dotazione gli strumenti di analisi: bicchieri, beute, pinzette, pipette. Se durante l'anno li rompevamo ci venivano addebitati. Alla fine del terzo anno, un giorno il bidello ha lasciato aperto l'armadio e io e i miei compagni ne abbiamo approfittato per recuperrare tutte le cose che ci mancavano. Siamo stati rimandati tutti a ottobre in tutte le materie. Ho dovuto studiare tutta estate. Mi ricordo che avevo ancora in casa i manifesti elettorali del 1948 e li tagliavo e li usavo come fogli di brutta copia. Ala fine, di 11 o 12 che aravamo, siamo rimasti in 5: gli altri tutti bocciati. In quarta ho avuto uno sbandamento a fine anno e sono andato a ottobre in quattro materie. Però, anche lì, pancia a terra e l'ho superato. Invece in quinta mi sono diplomato abbastanza bene: io e un mio compagno siamo stati promossi subito, a luglio, gli altri dopo gli esami di riparazione a settembre.

M - Finita la scuola il lavoro ...
A - finito l'esame un assistente di chimica mi ha chiesto se volevo rimanere a scuola a fare anch'io l'assistente. Ma a me con il diploma mi sembrava di avere il mondo in mano: "Sono un perito. No, non sto qui a Bergamo" mi sono detto "troverò da lavorare". Ho visitato varie aziende, ma per un anno e mezzo non ho trovato posto. Poi, attraverso Rodolfo Gavazzi, che aveva casa a Verderio, era imparentato con i Gnecchi ed era anche consigliere comunale, sono andato alla Lanerossi di Vicenza, dove lui era presidente del consiglio di amministrazione.

M - Quindi è emigrato da Verderio.
A - Sì, sono praticamente emigrato per tre anni, dal '52 al '55. Quando Gavazzi mi ha assunto mi ha detto: "Guarda che da te esigerò di più di quello che esigerò dagli altri: non voglio che qualcuno dica che mando qui gente che non sa fare il suo mestiere". I primi mesi ho fatto l'operaio; dopo mi hanno messo intermedio e sono diventato tintore. La tintoria era un reparto abbastanza grosso, con operai che lavoravano su tre turni, 4 o 5 tintori, tre diplomati e il vecchio capo. Un duro, sempre alla scrivania con le gambe incrociate: "cià bragheto, vien qua", diceva in Veneto. Sputava sempre sentenze, ma era un buono: un burbero, ma capace. Alla Lanerossi ho conosciuto mia moglie, che era impiegata dove facevano i filati.

M - Siamo arrivati al 1955...
A - Nel '55 la Lanerossi ha aperto una fabbrica a Vimodrone, dove volevano mettere in atto nuove strategie, ideare nuovi progetti e, seguendo il mercato, nuovi prodotti. Una struttura snella, dove mandavano gente abbastanza preparata, scegliendola nei vari reparti: filatura, tessitura, tintoria, finissaggio. Per la tintoria avevano scelto uno più anziano di me, che aveva più esperienza. Però lui non si trovava bene - ... la moglie ... eccetera - e voleva tornare. Allora io mi sono fatto avanti. Sono stato lì sei mesi circa, poi è morto l'ingegner Invernizzi, che era stato assunto per avviare lo stabilimento. Via lui non ci hanno più creduto e hanno chiuso. Mi hanno proposto di tornare a Vicenza, ma io ho preferito licenziarmi.

Dopo poco ho trovato lavoro a Milano, in via Solferino, in un laboratorio che preparava colori e prodotti ausiliari per le tintorie e anche altri per colorare il mangime per i polli. Sono stato lì solo sei o sette mesi, perché non mi piaceva. "Me pareva de vess un barbé sü la porta del negozi", dovevo indossare un grembiule bianco e per vedere il colore dei campioni mi toccava andare sul marciapiede alla luce del sole.

M - Faceva il pendolare?
A - Sì, andavo avanti e indietro in macchina: avevo una Topolino. A Verderio ero tra i pochi  ad avere una macchina, c'erano solo delle motorette, anche queste poche,  e per il resto biciclette.

M - Un altro primato...?
A - Sì, ma avevamo avuto anche quello del telefono, che serviva a mio padre per il suo lavoro, per comprare e vendere. La centrale telefonica era a Merate e avevano dovuto fare una linea apposta da Merate a Verderio. Avevamo il numero 6: penso volesse dire che, nel meratese, avevamo il sesto telefono. Dopo l'hanno messo i Gnecchi, il comune e il "prestiné"

M - Il vostro era anche telefono pubblico?
A - No, mio papà non aveva voluto avere il telefono pubblico, che in seguito era stato messo all'osteria del prestiné. Però la gente, se c'era una disgrazia o un bisogno, veniva lì a telefonare. Insomma era a disposizione.


Armando Villa a Barzio nel 1947


M - Torniamo al lavoro: dopo sei o sette mesi lascia il laboratorio di Milano...
A - Dopo un sette mesi Alberto Comi mi telefona e mi dice che dove andava lui a comprare i filati da tessere, l'azienda Piazza di Villasanta, cercavano un tintore. Mi sono presentato e mi hanno assunto subito.

M -  Quindi Alberto Comi aveva già la tessitura?
A - Prima ancora che nascesse, suo papà aveva la tessitura in quel edificio di mattoni vicino alla chiesa vecchia. Metà capannone era suo e metà, la parte dietro, del Peci, che faceva ferro battuto. Quando Peci, nel '37 - '38, è andato via, Comi ha occupato tutto lo stabile.

L'edificio che ospitava la tessitura Comi
 
Da Piazza a Villasanta sono stato per cinque anni e ho fatto una discreta esperienza. Il padrone, il sciur Fontana, era uno che sapeva il suo mestiere e che aveva soldi. A un certo punto ha avuto un incidente stradale e l'azienda l'ha mandata avanti il cugino. Con lui non mi trovavo tanto bene: era un burbero. El me ciamava cul bastùn, el me ciamava in mes al curtìl: "te gh'e fà ul lavorà al chel là?"
Magari il giorno prima mi aveva detto "chel lì el paga mia, faghel mia ul laverà a chel lì!". Poi quello andava a pagare e allora: " te ghe fa ul lavorà a chel om chi? Se speciet a faghel?". E così la colpa era sempre mia e io non accettavo tanto questa cosa. Era proprio un padrone. Quando era nato mio figlio Danilo, gli avevo chiesto gli assegni famigliari: "Quali assegni famigliari? Num em fisà 'na suma e la suma le quela!!!" Prendevo 70.000 lire al mese e non voleva darmi gli assegni famigliari. Sono andato dall'impiegato, che era sindaco di Villasanta, che mi ha detto: "dai, dai, ci penso io, ci penso io"
E anche li ci sono stato 5 anni.

M - Poi ha lavorato alla Bassetti?
A - Sì, attraverso un fornitore di prodotti chimici, ero venuto a sapere che al reparto tintoria della Bassetti cercavano tintori e ho fatto domanda. Loro hanno chiesto informazioni al comandante dei vigili di Verderio. Eravamo già negli anni sessanta e io ero già sindaco. Allora ho risposto io. Mi hanno chiamato, ho fatto due colloqui e mi hanno assunto: avevo la responsabilità della tintoria, del magazzino del tessuto greggio in arrivo e dell'impermeabilizzazione, un reparto con due operai per turno che produceva i teloni per la copertura dei camion: c'era una produzione notevolissima.

M - Quanto tempo è stato alla Bassetti.
A - O fa vint e pasa ann, finché sono andato in pensione.

M - Era nello stabilimento di Vimercate?
A - Sì, nel reparto vecchio. Poi hanno rinnovato tutto. Ci sono a proposito alcune curiosità che riguardano Verderio Superiore...

M - Mi dica
A - La scrivania del sindaco? Era la mia scrivania di quando lavoravo alla Bassetti. Il cancello del cimitero, quello che adesso è stato messo sul lato destro in fondo? Arriva anche quello dalla Bassetti. Come del resto i fusti di cloro che utilizzavamo per potabilizzare l'acqua della Fonte Regina. Era un compito che svolgeva Nunzio con un serbatoietto: non è che fosse una cosa controllata al cento per cento però ... insomma ... tra zero e qualcosa ... Allora ci si arrangiava così ....

M - Non abbiamo detto niente della sua famiglia
A - Nel 1956 mi sono sposato con Artilla Garzaro ...

M - ...sua collega quando lavorava in Veneto. Ha un figlio, e quanti nipoti?
A - Tre.

M - Pronipoti?
A - Uno ... anzi una ... in arrivo fra qualche settimana

M - Emozionato?
A - Eh, un pochino sì. Non è che senta gli anni però ogni tanto quei pensieri lì vengono ...


FINE PRIMA PARTE - CONTINUA

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