mercoledì 12 gennaio 2011

DON GIORGIO SPADA di Maria Fresoli


Alla morte di don Giacomo Spada, gli successe, don Giorgio Spada, suo nipote, che oltre al ministero sacerdotale svolgeva la funzione di "Notaio Apostolico". Molti sono gli scritti lasciati da questo parroco, ed è grazie ai suoi appunti che si è potuto ricostruire, seppur sommariamente, le vicende iniziali della parrocchia.
Da una lettera dello stesso don Giorgio ai superiori, si apprende che all'epoca, la povera gente, per guarire i mali corporali, si rivolgeva sovente ai "guaritori" per "farsi segnare il male": pratica questa che incorreva, a quei tempi, nella scomunica. Ecco uno di questi casi (1):

"Ili.mo e Molto Rev.mo Mons. Colendissimo.
Essendo una persona di mia cura aggravata dal mal che s'addimanda "vago", se lo fece segnar in questo modo:
pigliando un ramo di salvia con acqua santa e facendoli sopra il segno della croce dicendo:"in nomine Patris etc..." Hora con questa mia, prego Vs Ill.ma et Rev.ma che dichiari se questa persona inferma, per non haver dinontiato in tempi debiti chi gli ha fatto tal segno, sii incorsa nella censura della scomunica, et se incorsa, vogli dignarsi che sii liberata; ne essendo questa mia per altro, li bacio le sacrate mani, pregandoli di continuo da Nostro Signor ogni contento.
Di Robiate li 27 ottobre 1604.
Divoto Servo
Pre' Giorgio Spada
Cur. di Robiate."
Il povero ammalato, invitato in seguito dal Vicario Foraneo, svelò il nome del suo guaritore, evitando cosi la scomunica, ma gli fu imposta ugualmente una salutare penitenza.
Nella visita pastorale del Cardinale Federico Borromeo del 12 agosto 1610, la chiesa si presentava sempre ad una sola navata, sul fianco a nord della quale si aprivano la cappella della Madonna e quella del Battistero. Sullo stesso lato, una porticina immetteva dal transetto alla sacrestia, ampia quanto la cappella della Madonna.
Non vi era ancora il campanile e una sola campana stava appesa sul frontespizio della facciata, al lato sinistro della porta maggiore. La lunghezza del sacro edificio era di circa 15 metri, la larghezza di m.7,20 e l'altezza di m.9,60. All'esterno, lungo i fianchi e davanti alla facciata, vi era il cimitero, completamente recintato da mura, in cui trovavano sepoltura i parrocchiani compresi i parroci; alcuni nobili invece, come gli Ajroldi, avevano il sepolcro all'interno della
chiesa, presso l'altare della Madonna.

Planimetria della chiesa del 1626.
 Il nobile Marcello Ajroldi, nel 1617, lasciò nel suo testamento una cospicua somma per l'edificazione di una nuova cappella da dedicarsi a S.Carlo e S.Francesco, dirimpetto a quella del Rosario: l'opera fu iniziata nove anni dopo e terminata completamente nel 1676.
Gli anni successivi col formarsi di squadracce, capeggiate da un prepotente signorotto, i paesi della Pieve di Brivio, furono teatro di una lunga serie di omicidi, razzie e atti vandalici anche la nostra chiesa fu profanata da un grave furto sacrilego, avvenuto il 31 maggio 1629. Ecco come don Giorgio descrisse quell'avvenimento:

"Questa notte, venendo il sabato, li ladri infami et sacrileghi hanno dato l'assalto alla mia povera chiesa: tentato di romper il muro sotto il finestrolo del campanile, di levar la pietra della suola della porta grande, trivellato attorno alla serratura del'istessa porta, et alla fine (altra disgrazia) hanno rotto sotto la finestra del Battistero et incastrato nel finestrolo del Sacrario e rotto quel tavolato, sono entrati in sacristia, hanno rotto il garbusello di quella casetta, nella quale si conservano le offerte et limosine del Corpus Domini et della chiesa, et il turibolo et navicella et altre cose.
Hanno levato tutti i danari che erano fuori della bussola, in alcune scatolette, et portato via la stessa bussola che aveva dentro certe quantità de monete de offerte e tutta la qual somma de denari può esser, secondo il calcolo fatto da Gio.Angelo Bonino, che aveva il maneggio, de lire ottanta in circa. Et cosi la povera chiesa è restata spogliata de tutta la sua possibilità de danari. La Maestà Divina perô ci ha favoriti che non hanno molestato niun altra cosa, purchè d'aver preso giù d'un cerario una candela, della quale, accesa alle lampade, si sono serviti in questa loro maledetta attione...
Questo è successo in tempo che in Pieve era allogiata una compagnia del conte Fabritio Mariani, la cui gran parte è de ladri, assassini, marioli et taglia borse. Ma in particolare una liga de tre o quattro alloqgiati in questa terra, che con vanto raccontano, per quanto vien detto, vari assassinamenti fatti da loro in diversi luochi"
.(2)

Data (1626) rinvenuta durante l'ultimo restauro della chiesa parrocchiale. La data è riferita all'inizio della costruzione della cappella dedicata a S.Carlo e S.Francesco (ora cappella del Crocifisso)
 Se consideriamo che i 46 anni di ministero di don Giorgio trascorsero nel pieno periodo della dominazione spagnola, con tutte le conseguenze che questo malgoverno porto sul piano sociale ed economico, e logico supporre che uest'arco di tempo fu tra i piu travagliati e difficili della storia della nostra parrocchia.
Infatti, oltre al prorompere della malvivenza e al dilagare della gran miseria tra la popolazione, sempre per mano di don Spada, sappiamo che il 18 settembre del 1629, il passaggio da Robbiate dei Lanzichenecchi e le conseguenti razzie da parte loro delle case e delle campagne, lasciarono tra la gente una gran desolazione.
A dar manforte a queste disgrazie, nel luglio del 1630 da Milano arrivò la peste che fece undici vittime, col onseguente panico tra gli abitanti. In quelle circostanze dolorose, il buon parroco, come possiamo leggere nel registro dei morti di quegli anni, somministrò con animo pietoso e caritatevole, i religiosi conforti ai poveri contagiati, che erano isolati in un capanno sul Monterobbio e dopo la monte sepolti nel cimitero del "Cavetto" (3).
Il pietoso compito di don Giorgio non fu ben visto dai parrocchiani, che sospettando il parroco di aver pure lui contratto il morbo, lo evitarono disertando per parecchi mesi la chiesa.

NOTE
(1) A.P.R - cart. n.4
(2) A.P.R. - "Liber Missarum".
(3) "Il cavetto" era la denominazione di un terreno sul Monterobbio a circa 150 m. dall'imbocco
dell'attuale Via Monterobbio a mano sinistra.
Questo testo è tratto dal libro "Robbiate tra fede e umane vicende", scritto da Maria Fresoli ed edito dalla parrocchia di Robbiate nel 2003. Altri brani tratti dallo stesso libro sono stati publicati su questo blog il 23/3,  il 20/5  e  l'8/10 del 2010.

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