domenica 18 luglio 2010

IL VINO DEL MONTEROBBIO di Maria Fresoli



BRINDES DE MENEGHIN A L'OSTARIA 
PER EL SPOSALIIZI DE S. M. L'IMPERATOR
NAPOLEON CON MARIA LUISA 
ARCIDUCHESSA D'AUSTRIA (1810) (1)
Ma come! on olter biccer?
De chi eel' mai sto bel penser?
Montarobbi! Se badinna?
Montarobbi! Gh'e chi po'
Avegh coeur de ditt de no?
Ah ven scia, cara zajninna,
ven tra i brasc d'on to devott!
Te vuj bev a gott per gott,
Te vuj god a onza a onza;
Savoritt - come I sorbitt,
Stagh adree - del temp assee,
Come a beven ona bonza.
L'e peccaa che el Montarobbi
Nol sia on mont largh milla mija,
Che in d'on quaj cantenscellin
Ghe sarav forsi ca mia.
Ma l'e on mont tant piscinin,
Che tanc' voeult quel pocch penser
De scuffiaghen on biccer,
Boeugna propri guarnal via.
Ma che serva? La natura
Per i coss prezios e car
L'ha tegnuu cuurt la mesura,
Giust per rendi pusee rar...
CARLO PORTA


Basterebbe questa poesia dialettale del milanese Carlo Porta a farci capire quanto e com' era conosciuto, due secoli fa, il vino del Monterobbio nella grande Milano.
Questa sua fama non era certo dovuta alla quantità, date le piccole dimensioni della collina, ma alla sua ottima qualità. Aggiungiamo che non solo nell'800 il vino del Monterobbio era apprezzato, ma già dal 1500, come abbiamo potuto apprendere nella "Storia della Parrocchia" servì, in buona parte, a pagare l'opera del pittore Alessandro della Pobbia. All'epoca dell'infeudazione al Conte Corio, la produzione raggiungeva le cinquemila brente, equivalenti a circa 3800 ettolitri, quantità considerevole, se si tien conto delle scarse risorse di fertilizzazione in quei tempi.






Nella mappa del Catasto Teresiano del 1721, si contavano sul Monterobbio 313 pertiche a vigna, contro le 109 a bosco.
Proprietari di questi fondi erano allora i nobili Ajroldi e Corio, Giulio Cesare Cravenna, il marchese Erba, il capitano Matteo Rossi di Moncucco e il Beneficio Parrocchiale. Questi possidenti, in genere, affittavano i vigneti ai massari, che erano tenuti a consegnare, dopo le spese di coltivazione e vinificazione, tre quinti del prodotto al locatore.
Dall'Archivio Parrocchiale, si riporta parte di una relazione del per. agr. Paolo Usuelli, in data 21 maggio 1863, stesa per un reimpianto di vigneto del Beneficio Parrocchiale (2) :

"Il ronco che si vuole dissodare e rimettere a nuovo, trovasi in posizione amenissima sul versante di mezzogiorno del rinomato Monterobbio, e consta di particolare qualità di terra argillosa-calcarea così adatta alla formazione di prelibati vini,  che, certamente val la pena di impiegarvi anche un capitale perche la sua produzione riesca maggiore e migliore..."

Pochi anni dopo però, il temutissimo "oidio" distrusse gran parte dei vigneti e, nel 1880 "la filossera" completò l'opera. Ma i nostri contadini, subentrati nelle proprietà, alle ormai decadute nobiltà, non si scoraggiarono e rimpiantarono le viti, così i ronchi del Monterobbio tornarono colmi di rigogliosi filari e, tanta e ottima continuò la produzione che nacque il detto "a Rubia anca i muron fon l'uga".

Da un opuscolo stampato nel 1877, a cura del Consorzio Agrario Brianteo (3) si possono elencare i vari tipi di vitigni coltivati:

Uve nere - Barbera - Barzamino - Bonarda - Bordeaux nera-Bressana - Guarnazza - Inzaga - Lambrusca - Marcellana - Merera- Moscato - Moncucco o Grignolè - Negrera - Pezzè - Pignola -Rossera - Teinturier - Vespolina.

Uve Bianche - Bordeaux bianca - Borgognino - Greco - Guarnazza - Malvasia - Moscato - Pinot - Rosa - Spagna.








Le caratteristiche uniche di questo nostro prodotto furono così descritte da Carlo Merli in una sua monografia (4):

"Io non faccio la reclame a niente, e tanto meno al vino che mi piace, giacché più è reclamato più mi tocca pagarlo - non avendo la fortuna di farne del mio - ma è certo che il tipo bianco del Monte Orobio ben confezionato, con uve ben mature, e lasciato invecchiare qualche anno può enfoncer alcune marche eccellenti di chablis, come il rosso può gareggiare coi bordeaux fini, e stravincere tutti i piccoli bordeaux di 3 franchi la bottiglia. Ma anche nelle case dove il Monte Orobico è ottimo, ed è fatto con tutte le regole e con tutte le sincerità che ognuno mette nella confezione del vino che deve bere...del monte Orobico non te ne faranno parola. Solo quando sarai entrato in molta confidenza, allora te lo faranno assaggiare per caso, quasi vergognosi come - per usare un'espressione rude, ma esatta - ti mostrassero il figlio della serva; perché noi italiani siamo fatti così: la nostra roba e buona, i nostri prodotti potrebbero gareggiare con molti altri che riteniamo superiori; ma l'abbiamo nel sangue quel maledetto sprezzo per tutto ciò che è nostro, e l'incondizionata ammirazione per quello che vien da fuori..."


Purtroppo col passare degli anni, la sempre meno remunerativa attivita agricola, spinse i giovani ad abbandonare i campi, di conseguenza, piano piano, sparirono in gran parte anche i vigneti lasciando posto agli incolti.
Non rimane altro che sperare in un futuro recupero di questa coltivazione, che è stata per secoli e secoli il vanto dei nostri vecchi e del paese stesso.


NOTE
(1) Carlo Porta, "Poesii de Carlin Porta Milanes" - pag.36
(2) A.P.R. – cart. n. 8.
(3) Tipografia Briantea, “Lezioni di Enologia” – Merate 1877.
(4) Carlo Merli, "Sette giorni a Merate" (1896 - pag. 40 - 41)

Maria Fresoli

Questo testo è tratto dal libro "Robbiate tra fede e umane vicende", scritto da Maria Fresoli ed edito dalla parrocchia di Robbiate nel 2003. Altri due brani tratti dallo stesso libro sono stati pubblicati su questo blog, il 23/3 e il 20/5 del 2010.



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